“Giravano per casa, gli offrivamo da bere, qualche volta li invitavamo a cena. Erano amici e coetanei di nostra figlia sedicenne, studentessa di un liceo artistico milanese.
Li osservavamo tenendoci in disparte, origliando i loro discorsi. Erano belli, giovanissimi, rumorosi, chiacchieroni, qualcuno saccente e un po’ sopra le righe, ma tutti intelligenti e decisi a fare emergere la propria personalità attraverso qualcosa che li rappresentasse in senso non banale, al di fuori degli schemi comuni; qualcosa che aveva a che fare con l’arte: anche se questa parola non veniva mai pronunciata, quasi fosse stata superflua, non del tutto confacente ai loro scopi.”
“Giravano per casa, gli offrivamo da bere, qualche volta li invitavamo a cena. Erano amici e coetanei di nostra figlia sedicenne, studentessa di un liceo artistico milanese.
Li osservavamo tenendoci in disparte, origliando i loro discorsi. Erano belli, giovanissimi, rumorosi, chiacchieroni, qualcuno saccente e un po’ sopra le righe, ma tutti intelligenti e decisi a fare emergere la propria personalità attraverso qualcosa che li rappresentasse in senso non banale, al di fuori degli schemi comuni; qualcosa che aveva a che fare con l’arte: anche se questa parola non veniva mai pronunciata, quasi fosse stata superflua, non del tutto confacente ai loro scopi.”