Il jazz ha sempre avuto i suoi poeti, i suoi storici, i suoi tecnici. Oggi possiede anche un fotografo, un testimone oggettivo che ha tradotto in immagini ciò che l’occhio nitido e rigoroso della macchina fotografica inquadra: si chiama Herman Leonard.
Non ci potrebbe essere miglior simbolo e mordace precarietà del jazz, che il fumo di sigaretta in una sua fotografia. Spiraleggiando, fluttuando, restando in sospeso e serpeggiando nelle figure ombre di delicatezza orientale, il fumo è il perfetto sostegno della bellezza e qualche volta di tragiche facce al centro delle sue scene notturne.
Il jazz ha sempre avuto i suoi poeti, i suoi storici, i suoi tecnici. Oggi possiede anche un fotografo, un testimone oggettivo che ha tradotto in immagini ciò che l’occhio nitido e rigoroso della macchina fotografica inquadra: si chiama Herman Leonard.
Non ci potrebbe essere miglior simbolo e mordace precarietà del jazz, che il fumo di sigaretta in una sua fotografia. Spiraleggiando, fluttuando, restando in sospeso e serpeggiando nelle figure ombre di delicatezza orientale, il fumo è il perfetto sostegno della bellezza e qualche volta di tragiche facce al centro delle sue scene notturne.