180 fotografie, sia a colori che in bianco e nero, realizzate da alcuni dei più celebri protagonisti della storia della fotografia, tra cui Harry Callahan, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Tina Modotti, Paul Strand, il cui lavoro riflette una profonda comprensione del Messico e dei suoi abitanti.
Carole Naggar e Fred Ritchin, curatori della mostra, hanno selezionato lavori in grado di rivelare molte delle icone profondamente radicate nella cultura messicana.
E’ innegabile che artisti e studiosi stranieri siano stati fortemente influenzati dalle loro esperienze messicane: molti di loro, noti per uno stile particolare, apportarono profondi cambiamenti nelle loro opere dopo esser stati in Messico.
Henri Cartier-Bresson, l’innovativo fotografo francese della strada con tendenza al surrealismo (in Messico nel 1930) assumerà lo stile quasi-realista del fotoreporter.
Il “Mexican Portofolio” di Paul Strand può essere considerato il suo “gioiello spirituale”
La breve ma intensa carriera fotografica (e di attività politica) dell’italiana Tina Modotti fu formata in Messico.
L’americano Edward Steichen, maestro di fotografia di moda e ritrattistica rigorosamente in bianco e nero, fece in Messico le sue prime foto a colori, mentre Helen Levitt, abituata alle immagini delle strade di New York, compie il suo unico viaggio fotografico all’estero nel 1941 in Messico.
In anni più recenti, personaggi come lo psicologo svedese dell’infanzia Kent Klich, il colorista americano Alex Webb ed il giornalista iraniano Abbas hanno trovato in Messico molta della loro ispirazione fotografica.
La mostra approfondisce inoltre il concetto per cui le rigide dicotomie, spesso presenti nelle culture occidentali, tra passato e presente, anima e corpo, realtà e finzione, arte e vita, in Messico sono prive di valore.
Linda Condor coglie l’effimera linea tra passato e presente in abbaglianti immagini come “Chichén Itza, Yucatan, Mexico (1976)”.
Ellen Auerbach esprime la stessa mancanza di separazione in “Kneeling Christ, Huejotzingo, Mexico (1956)”.
Le prime immagini esposte furono realizzate nel XIX secolo da viaggiatori che si trovano in Messico in veste di antropologi o esploratori: i ritratti delle tribù Tarahumara ed Huichol della Serra Madre realizzati da Carl Lumholtz all’inizio del 1890 catturano alcune delle immagini più forti mai realizzate degli indiani aborigeni.
Sessant’anni più tardi Gertrude Blom documentò la drammatica situazione dei Maya Lacandon mentre la giungla che era stata loro dimora fin dal 200 d.C. veniva distrutta.
Altre immagini di violenza e morte furono realizzate da fotogiornalisti come François Aubert. La sua foto dell’imperatore messicano Maximilian nella sua bara preannuncia l’inquietante “Head of the dead man, Mexico City, 1990” di Joe-Peter Witkin, che mostra una testa tagliata sopra un vassoio sporco di sangue.
I drammi politici del Messico contemporaneo sono documentati nelle eloquenti immagini di campagne elettorali di Robert Capa e nei montaggi carichi di significati politici di Ed van der Elsken (ad es. “Mexico, 160”).
MEXICO THROUGH FOREIGN EYES
A cura di Carole Naggar e Fred Ritchin
180 fotografie, sia a colori che in bianco e nero, realizzate da alcuni dei più celebri protagonisti della storia della fotografia, tra cui Harry Callahan, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Tina Modotti, Paul Strand, il cui lavoro riflette una profonda comprensione del Messico e dei suoi abitanti.
Carole Naggar e Fred Ritchin, curatori della mostra, hanno selezionato lavori in grado di rivelare molte delle icone profondamente radicate nella cultura messicana.
E’ innegabile che artisti e studiosi stranieri siano stati fortemente influenzati dalle loro esperienze messicane: molti di loro, noti per uno stile particolare, apportarono profondi cambiamenti nelle loro opere dopo esser stati in Messico.
Henri Cartier-Bresson, l’innovativo fotografo francese della strada con tendenza al surrealismo (in Messico nel 1930) assumerà lo stile quasi-realista del fotoreporter.
Il “Mexican Portofolio” di Paul Strand può essere considerato il suo “gioiello spirituale”
La breve ma intensa carriera fotografica (e di attività politica) dell’italiana Tina Modotti fu formata in Messico.
L’americano Edward Steichen, maestro di fotografia di moda e ritrattistica rigorosamente in bianco e nero, fece in Messico le sue prime foto a colori, mentre Helen Levitt, abituata alle immagini delle strade di New York, compie il suo unico viaggio fotografico all’estero nel 1941 in Messico.
In anni più recenti, personaggi come lo psicologo svedese dell’infanzia Kent Klich, il colorista americano Alex Webb ed il giornalista iraniano Abbas hanno trovato in Messico molta della loro ispirazione fotografica.
La mostra approfondisce inoltre il concetto per cui le rigide dicotomie, spesso presenti nelle culture occidentali, tra passato e presente, anima e corpo, realtà e finzione, arte e vita, in Messico sono prive di valore.
Linda Condor coglie l’effimera linea tra passato e presente in abbaglianti immagini come “Chichén Itza, Yucatan, Mexico (1976)”.
Ellen Auerbach esprime la stessa mancanza di separazione in “Kneeling Christ, Huejotzingo, Mexico (1956)”.
Le prime immagini esposte furono realizzate nel XIX secolo da viaggiatori che si trovano in Messico in veste di antropologi o esploratori: i ritratti delle tribù Tarahumara ed Huichol della Serra Madre realizzati da Carl Lumholtz all’inizio del 1890 catturano alcune delle immagini più forti mai realizzate degli indiani aborigeni.
Sessant’anni più tardi Gertrude Blom documentò la drammatica situazione dei Maya Lacandon mentre la giungla che era stata loro dimora fin dal 200 d.C. veniva distrutta.
Altre immagini di violenza e morte furono realizzate da fotogiornalisti come François Aubert. La sua foto dell’imperatore messicano Maximilian nella sua bara preannuncia l’inquietante “Head of the dead man, Mexico City, 1990” di Joe-Peter Witkin, che mostra una testa tagliata sopra un vassoio sporco di sangue.
I drammi politici del Messico contemporaneo sono documentati nelle eloquenti immagini di campagne elettorali di Robert Capa e nei montaggi carichi di significati politici di Ed van der Elsken (ad es. “Mexico, 160”).